Le SEZIONI UNITE sull’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE e sulla decorrenza degli INTERESSI nelle cause di RIPETIZIONE D’INDEBITO OGGETTIVO.

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Le SEZIONI UNITE sull’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE e sulla decorrenza degli INTERESSI nelle cause di RIPETIZIONE D’INDEBITO OGGETTIVO.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato due importanti principi di diritto in tema di contenzioso bancario. Con la recentissima sentenza del 13 giugno 2019, infatti, il Supremo Collegio, in primo luogo, è intervenuto a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in materia di onere di allegazione gravante sulla banca convenuta in relazione all’eccezione di prescrizione, per poi soffermarsi su un’ulteriore questione controversa, ovvero, sull’interpretazione del termine “domanda”,di cui all’art. 2033 c.c., ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione d’indebito oggettivo.

Per quanto concerne la prima questione posta all’esame delle Sezioni Unite, la stessa verte sulla delimitazione dell’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione delle somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di credito in conto corrente.

Le Sezioni Unite, già con la precedente sentenza n. 24418 del 2010, richiamata nella pronuncia in esame, avevano stabilito che la prescrizione del diritto alla restituzione ha decorrenza diversa a seconda del tipo di versamento effettuato, solutorio o ripristinatorio.

La suddetta distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista non ha, tuttavia, comportato problemi interpretativi in relazione all’onere di allegazione cui è tenuto il correntista nella proposizione dell’azione di ripetizione; il contrasto giurisprudenziale, invero, è sorto sulla modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca convenuta in ripetizione. 

In particolare, ci si è chiesti “se, nel formulare l’eccezione di prescrizione, la banca debba necessariamente indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione, e cioè l’esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dei quali l’inerzia del titolare del diritto può venire in rilievo, o se possa limitarsi ad opporre tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile”.

Secondo il primo orientamento, spetta alla banca convenuta che eccepisce la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito di allegare e di provare quali sono le rimesse che hanno avuto natura solutoria, con la conseguenza che, a fronte della formulazione generica dell’eccezione, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tale onere, individuando d’ufficio i versamenti solutori distinguendoli, dunque, da quelli ripristinatori (Cfr. Cass. n. 4518 del 2014; Cass. n. 20933 del 2017; Cass. n. 28819 del 2017; Cass. n. 17998 del 2018; Cass. n. 18479 del 2018; Cass. n. 33320 del 2018).

Ai sensi dell’orientamento giurisprudenziale contrapposto, invece, non compete all’istituto di credito convenuto fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione, ritenendo sufficiente affinché l’eccezione possa considerarsi validamente proposta, la circostanza che la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene. E ciò, a maggior ragione avuto riguardo al fatto che la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerge, peraltro, dagli estratti conto che il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio (Cfr. Cass. n. 2308 del 2017; Cass. n. 18581 del 2017; Cass. n. 4372 del 2018; Cass. n. 5571 del 2018; Cass. n. 18144 del 2018; Cass. n. 30885 del 2018; Cass. n. 2660 del 2019).

Si colloca, invece, secondo il Collegio, in una posizione intermedia Cass. n. 12977 del 2018, nonostante l’ordinanza interlocutoria la menzioni tra quelle adesive alla prima soluzione, in quanto la Cassazione in tale pronuncia propone un onere di allegazione in capo alla banca attenuato rispetto a quello prospettato nelle sentenze sopraelencate, non reputando necessaria un’allegazione analitica delle rimesse ritenute solutorie. Ciononostante, l’allegazione deve recare un grado di specificità tale “da consentire alla controparte un adeguato esercizio di difesa sul punto, e in mancanza, la relativa eccezione deve essere respinta, in quanto genericamente formulata (prima che infondata), non potendo il giudice supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori”.

Le Sezioni Unite sono intervenute a dirimere il contrasto evidenziando che la nozione di allegazione “in senso proprio”, rielevante rispetto alla questione trattata, “si identifica con l’affermazione dei fatti processualmente rilevanti, posti alla base dell’azione o dell’eccezione: essa individua i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi dei diritti fatti valere in giudizio”. Mentre, “non rientra nell’ambito dell’onere di allegazione la qualificazione dei fatti allegati, che costituisce, invece, attività riservata al giudice, che, nel provvedere al riguardo, non è vincolato da quella eventualmente offerta dalle parti”.

Il Collegio prosegue, quindi, specificando che l’onere di allegazione si distingue dall’onere probatorio, “attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione”. Si rileva, dunque, che “l’aver assolto all’onere di allegazione non significa avere proposto una domanda o un’eccezione fondata, in quanto l’allegazione deve, poi, esser provata dalla parte cui, per legge, incombe il relativo onere, e le risultanze probatorie devono, infine, esser valutate, in fatto e in diritto, dal giudice”.

Ebbene, conclude il Collegio accogliendo la seconda soluzione e affermando che non è necessario, ai fini dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione che la banca convenuta individui e specifichi le diverse rimesse solutorie, posto che l’elemento qualificante dell’eccezione di prescrizione è – appunto – l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto e che, dunque, “il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente”.

Le stesse Sezioni Unite concludono, dunque, la trattazione del quesito in esame affermando il seguente principio di diritto: “l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

L’ulteriore problema affrontato dal Supremo Collegio riguarda, poi, l’interpretazione del termine “domanda”, di cui all’art. 2033 c.c., ovvero la questione se, in materia di ripetizione dell’indebito, gli interessi legali cui ha diritto chi ha eseguito un pagamento non dovuto decorrano “dal giorno della domanda”,intesa quale domanda giudiziale, ovvero se la norma in esame si riferisce anche agli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c.

Il contrasto era sorto proprio in virtù del fatto che l’art. 2033 c.c. stabilisce che chi ha eseguito pagamento non dovuto ha diritto agli interessi “dal giorno della domanda”, laddove l’art. 1148 c.c. dispone che il possessore in buona fede fa i suoi frutti naturali separati e rutti civili “fino al giorno della domanda giudiziale”.

Orbene, il Collegio dopo aver sottolineato che la “domanda”indicata dall’art. 2033 c.c. “non sia ulteriormente connotata in termini “giudiziale” non è fatto in sé neutro e consente, già in prima battuta, di affermare che, riferendosi alla “domanda”, il legislatore non abbia voluto unicamente riferirsi alla notificazione dell’atto con cui si inizia un giudizio”, evidenzia che a livello sistematico, “lo status di possessore in buona fede e la connessa tutela possono cessare solo con la sentenza che accolga la rivendica” e gli effetti di tale sentenza retroagiscono alla “domanda giudiziale”, di cui all’art. 1148 c.c., poiché i tempi del processo non possono gravare sulla parte vittoriosa.

Al contrario, in caso d’indebito oggettivo, il legislatore “non si preoccupa di qualificare la situazione che lo determina”, ma “si limita più semplicemente a prendere atto che manca un presupposto legale affinché la prestazione corrisposta possa esser mantenuta, e concede alla parte che ha effettuato il pagamento il diritto di riprendersi quanto pagato”.

Secondo il Collegio, pertanto, “l’obbligo della corresponsione degli interessi da parte dell’accipiens in buona fede, quale debitore dell’indebito percepito, può decorrere da data antecedente a quella dell’instaurazione del giudizio, ove sia stata preceduta da uno specifico atto di costituzione in mora”.

La sentenza, dunque, conclude con la statuizione del seguente principio di diritto: “Ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione d’indebito oggettivo, il termine “domanda”, di cui all’art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c.”.

Beatrice Cancrini

Scarica >> Cass. S.U. 13 giugno 2019 n. 15895