Sull’onda delle 5 pronunce “quasi gemelle” del Tribunale di Cremona (tra le quali rammentiamo la n. 227 del 28/3/2019 – Giud. Dott.ssa N. Corini), ancora una sentenza che riconosce, finalmente e senza mezzi termini, che la formula matematica, attraverso la quale si ricava il piano di rimborso cd. “alla francese”, contiene nella stragrande maggioranza dei mutui italiani l’applicazione del regime di capitalizzazione degli interessi composto, cioè un sistema di calcolo che fa lievitare sensibilmente il “monte interessi” complessivo del mutuo e così facendo si pone in contrasto con il tasso di interesse indicato nel contratto, “che è quello semplice (previsto dall’art. 821, comma terzo, c.c.)”.
È quanto si legge nella recentissima sentenza n. 412, del 5 dicembre 2019 della Corte d’Appello di Campobasso che, in tema di piano di ammortamento alla francese, riconosce espressamente come l’indicazione nel contratto di mutuo del tasso di interesse (cd. TAN), presuppone per l’ordinamento italiano l’applicazione del sistema di calcolo dell’interesse semplice, senza alcuna capitalizzazione degli interessi, mentre invece l’allegazione al contratto di mutuo di un piano di ammortamento alla francese (in capitalizzazione composta) dà luogo – appunto – all’applicazione di un regime di capitalizzazione che genera “la restituzione di interessi con una proporzione più elevata”, determinando effettivamente, una vera e propria discrasia tra il tasso nominale indicato nel contratto e quello di fatto applicato dalla banca. Quest’ultimo, infatti, risulta un tasso effettivo diverso e superiore rispetto a quello contrattualmente convenuto, in violazione degli articoli 1418, 1346 e 1284 c.c. con conseguente indeterminatezza del tasso contrattuale e necessità che il saldo del mutuo sia rideterminato al tasso legale.
La sentenza in commento ha il pregio di affermare testualmente che “il tasso nominale di interesse pattuito letteralmente nel contratto non si può maggiorare con il piano di ammortamento, poiché il calcolo dell’interesse, nel piano di ammortamento, deve essere trasparente ed eseguito secondo le regole matematiche dell’interesse semplice”. Da ciò discende la declaratoria di illegittimità del piano di ammortamento “alla francese” e la conseguente nullità parziale del mutuo, ai sensi dell’art. 1419, secondo comma, c.c., per indeterminatezza, della clausola relativa alla pattuizione del saggio di interessi, con la necessaria applicazione del solo tasso legale sostitutivo ex art. 1284, comma 3, c.c.
Secondo la Corte di Campobasso, nel contratto di mutuo in esame, invero, “mentre nella parte letterale del contratto si stabilisce un tasso di interesse rispettoso del sistema civilistico italiano della maturazione dei frutti civili nel piano di ammortamento allegato viene applicato in maniera del tutto inaspettata, quanto illegittima, il c.d. ammortamento “alla francese”, ossia un metodo che comporta la restituzione degli interessi con una proporzione più elevata, in quanto contiene una formula di matematica attuariale, giusta la quale l’interesse applicato è quello composto e non già quello semplice (previsto dall’art. 821, comma terzo, c.c.)”.
In altri termini, la mera esistenza di un piano di ammortamento alla francese, redatto in regime di capitalizzazione composta, allegato al contratto di mutuo si pone in contrasto con l’indicazione formale e letterale del tasso di interesse del mutuo medesimo. Quest’ultimo è, infatti, un dato numerico (cd. TAN), che in quanto tale presuppone, ai sensi dell’art. 821, terzo comma c.c., l’applicazione del meccanismo di calcolo degli “interessi semplici”, cioè del regime di capitalizzazione semplice (che in realtà è senza alcuna capitalizzazione degli interessi). Pertanto, il fatto stesso che nel testo contrattuale sia indicato un determinato tasso di interessi, sta a significare che le parti si sono accordate per quel determinato costo del mutuo, indicato dal tasso di interesse contrattualmente convenuto e da calcolarsi “secondo le regole matematiche dell’interesse semplice”. Tale costo (o monte interessi) del mutuo non può essere contraddetto o smentito dalla formula matematica attraverso la quale la Banca del tutto unilateralmente, e con estrema sorpresa dell’ignaro mutuatario, applica un meccanismo di calcolo del monte interessi complessivo e della rata costante che fa lievitare sensibilmente il costo del mutuo. Il meccanismo di calcolo in questione accresce in modo notevole il valore numerico del tasso di interessi applicato, considerato in regime semplice, di talché deve ritenersi di essere in presenza di un doppio tasso di interesse, uno contrattualmente convenuto tra le parti, ed un altro in modo surrettizio applicato dalla Banca all’insaputa del cliente.
Per tali ragioni, la sentenza in commento ritiene che in siffatte ipotesi il tasso di interesse deve ritenersi indeterminato e, di conseguenza, sostituito dal saggio legale ex art. 1284, 3° comma c.c.
Infatti, proprio ai sensi della normativa civilistica vigente, “se da un lato il creditore può scegliere di imputare il rimborso prima agli interessi che al capitale, o proporzionalmente ad entrambi o, ancora, solo al capitale, dall’altro lato lo stesso creditore, nel momento in cui viene convenuto il tasso contrattuale, deve tener conto dell’incidenza sui costi che comporta la modalità prescelta per il rimborso e sul tasso, che deve restare sempre pari a quello contrattualmente convenuto”.
Il tasso nominale di interesse pattuito letteralmente nel contratto, dunque, “non si può maggiorare con il piano di ammortamento, né si può mascherare tale artificioso incremento nel piano di ammortamento, poiché il calcolo dell’interesse, nel piano di ammortamento, deve essere trasparente ed eseguito secondo le regole matematiche dell’interesse semplice”. Il criterio di imputazione previsto dall’art. 1194 c.c., invero, “non può divenire un diritto per incrementare surrettiziamente il tasso (previsto ai sensi dell’art. 1284 c.c.), gli interessi e la remunerazione del capitale prestato”.
La Corte d’Appello di Campobasso, pertanto, statuisce che “in un mutuo con rate costanti (ma anche non costanti) che comprendono parte del capitale e gli interessi non possono divenire capitale da restituire a chi l’ha concesso. Va quindi ritenuta l’illegittimità dei piani di ammortamento contenenti la previsione di restituzione degli interessi sul capitale maggiorati da capitalizzazione composta”.
Conseguentemente, la stessa Corte sottolinea come il piano di ammortamento alla francese violi non solo l’art. 1283 c.c., ma anche il dettato dell’art. 1284 c.c., conformemente a quanto da noi sostenuto (V. https://www.bancheepoteri.it/2019/11/25/lanatocismo-nei-mutui-con-piano-di-ammortamento-alla-francese-in-capitalizzazione-composta-tra-matematica-e-diritto/)
L’art. 1283 c.c., invero, stabilisce il divieto di produzione di interessi su interessi, sancendo, per l’appunto, che gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi, salvo usi contrari (ma dovrà trattarsi di usi normativi, e non negoziali o interpretativi). Il piano di ammortamento alla francese, prevendendo generalmente la formula del c.d. interesse composto, viola il suddetto dettato normativo. Infatti, attraverso la formula matematica della capitalizzazione degli interessi in regime composto, la Banca introduce surrettiziamente un meccanismo di calcolo di interessi sugli interessi che, mediante il fattore esponenziale proprio della formula matematica del regime composto, fa lievitare sensibilmente il monte interessi e, dunque, il costo complessivo del mutuo.
Ne consegue che, solo apparentemente, la Banca è in grado di dimostrare che il TAN utilizzato per il calcolo del “monte interessi” e della “rata costante” del mutuo è lo stesso rispetto al TAN indicato nel contratto di mutuo medesimo, atteso che nasconde all’operatore retail di aver applicato nel calcolo del “monte interessi” e della “rata costante” il regime di capitalizzazione composto, in luogo di quello semplice. Applicando, invece, il calcolo degli interessi in regime di capitalizzazione semplice, il costo complessivo del mutuo e l’entità delle singole rate sarebbe stato sensibilmente inferiore, rispetto a quello di fatto praticato dalla banca, con l’ovvia conseguenza che il tasso di interessi di fatto applicato dalla Banca – all’insaputa e con notevole sorpresa del mutuatario – è di fatto un tasso più alto rispetto a quello indicato nel contratto. Da qui la non corrispondenza dei tassi e la necessità del giudice di applicare, in presenza dell’indeterminatezza del tasso ultra-legale pattuito dalle parti, lo strumento rimediale del tasso legale, ai sensi dell’art. 1284 3° comma c.c.
Per quanto concerne la violazione dell’art. 1284 c.c., occorre evidenziare come nel caso in esame la CTU aveva accertato che durante l’esecuzione del contratto di mutuo il tasso nominale pattuito non era stato mai rispettato, a nulla rilevando che “per talune rate il tasso effettivo applicato fosse al di sotto del tasso contrattuale”, giacché il citato art. 1284 3° comma c.c. “dispone che gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale” (Cfr. art. 1284, 3° co. c.c.).
Ciò significa, in conclusione che è condivisibile la tesi secondo cui siffatti contratti di mutuo “nascondono una “doppia anima”: da un lato il contratto predispone l’applicazione di un tasso semplice, dall’altro, nell’allegare il piano di ammortamento, si inseriscono clausole che comportano l’applicazione di un tasso di interesse composto e, dunque, generative di fenomeni anatocistici, che nel nostro ordinamento trovano il limite dell’art. 1283 c.c. Inoltre, al di là del fenomeno anatocistico, si ritiene che tale tipologia di contratti si ponga in violazione dell’art. 1284 c.c.”
Va da sé che in ipotesi di mancata determinazione e specificazione, ovvero di incertezza del tasso di interesse (tra tasso nominale contrattuale e tasso effettivo risultante dal piano di ammortamento allegato al medesimo contratto), si “impone l’applicazione del tasso legale semplice e non quello ultra-legale indeterminato o incerto”, ai sensi dell’art. 1284 c.c. Come visto, infatti, la stessa norma prevede la sanzione dell’interesse legale che, dunque, risulterà lo strumento rimediale applicabile in siffatti casi.
La Corte di Campobasso è degna di nota, infine, perché si pronuncia anche in tema di mancato deposito dei decreti ministeriali attestanti i tassi soglia applicabili, rilevando che tale omesso deposito “non è motivo per considerare sfornita di prova la richiesta di parte attrice di verifica del tasso usura ai sensi della legge 108/96, perché si tratta di documentazione facilmente reperibile sul sito della Gazzetta Ufficiale e nella quale sono elencati anno per anno e trimestre per trimestre i tassi soglia relativi a ciascuna categoria di credito”.
La Corte d’Appello molisana, da ultimo, conclude analizzando altresì la questione della prescrizione nei contratti di mutuo ed affermando che la stessa inizia a decorrere solo dopo il pagamento dell’ultima rata, giacché l’obbligazione del mutuatario deve considerarsi un’obbligazione unitaria ad esecuzione frazionata nel tempo, con l’ovvia conseguenza che i singoli versamenti periodici non costituiscono distinte obbligazioni a carattere periodico e, quindi, non rilevano ai fini della prescrizione.
Auspichiamo che la sentenza in commento, caratterizzata da un’esposizione chiara e di facile comprensione, possa assurgere a pietra miliare nell’affrontare la problematica dei mutui con piani di ammortamento alla francese.